I B R I D A R E
non so identicarvi la nostra inventità
Come saranno - se saranno - i nostri corpi?
progetto avviato con il sostegno di Fondazione Lenz
Desiderantes
un movimento, dove il qui-ed-ora è necessariamente un là-e-non-ancora
progetto avviato con il sostegno di Migramenti, Teatro del Carro
1. Ibridare mette in discussione il concetto di corpo ed esplora le possibilità di simbiosi e collaborazione creativa con qualcosa di altro, verso cui tendere e con cui – forse – riuscire ad identificarsi. Cosa succede se ripensiamo e re-immaginiamo il corpo, scoprendolo diverso da ciò che è stato, in un processo di avvicinamento e trasformazione?
Partendo da basi teoriche ispirate alla corrente del post-umanesimo e utilizzando pratiche di creazione collettiva, sia fisiche che testuali, il laboratorio esplora performativamente il mondo dell'utopia e del non conosciuto per intentare corpi altri, nuove inventità, e immaginare come possono esprimersi per comunicare.
Questo studio sull'ibridazione del corpo cerca di superare il dualismo naturale-artificiale, ridefinendo i confini del corpo umano e contemplandone di nuovi e più ampi.
Il laboratorio è rivolto a performer, artistə visivə, registə e drammaturghə interessatə a esplorare le possibilità di simbiosi e collaborazione creativa del proprio corpo con elementi altri. Sarà centrale il dialogo con l’elemento visivo, sia dal punto di vista tecnico che drammaturgico. Attraverseremo insieme un processo creativo che include:
- Training fisico di allenamento della percezione fuori dalla razionalità
- Ricerca di fonti e scrittura singola e collettiva
- Momenti di improvvisazione guidata, e composizione a piccoli gruppi
- Utilizzo di elementi tecnici, in particolare la telecamera e il cellulare, sperimentando il rapporto scena e video in presa diretta.
L’integrazione dell’immagine con la ricerca drammaturgica è al centro del lavoro del Collettivo EFFE.
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2. Desiderantes mette in atto una riflessione sul campo di forze, spaziale e temporale, che muove l’individuo verso il desiderio stesso: un continuo movimento, dove il qui-ed-ora è necessariamente un là-e-non-ancora.
Il desiderio ha a che fare con un’assenza, ma esistono desideri che non hanno bisogno di penuria per generarsi e alimentarsi. Il desiderio che porta un essere umano a voler salire su un palco è uno di questi, poiché c’è e basta e in questo esserci non appartiene al soggetto, ma lo attraversa rendendo possibile un atto creativo. Una forza che abita chi performa ma che non gli appartiene. Una vocazione.
Un gruppo di desiderantes interagirà sul tema del desiderio con un’impostazione multimediale (che utilizza e integra tecniche e strumenti diversi). Una macchina desiderante che abbia come scopo non la produzione di significati da comprendere, ma da riconoscere perché il desiderio non parla la lingua dell’io, comunica in una lingua straniera da rinegoziare e decifrare continuamente.
La base del lavoro è la creazione di un flusso di azioni incatenate e stratificate secondo un insieme di regole - o si potrebbe dire una logica - non decise in partenza, ma nate e condivise dal gruppo. Le azioni emergono di volta in volta dalla relazione degli interpreti con gli elementi presenti nello spazio in cui agiscono - quali luci, corpi, oggetti, voci, ecc. La risultante è un insieme di elementi, fisici e non, legati l’un l’altro dalle regole di un gioco di cui nessuno sa il nome, ma a cui tutti - compreso il pubblico - sanno giocare. Non si tratta di danzare, dire qualcosa, fare una verticale o una ripresa video, ma di come un elemento porta all’altro - anche se potrebbe portare a qualcosa di completamente diverso.
Il processo crea una responsabilità condivisa e un abbandono dell’io, presupposti fondamentali per l’incontro dei desideri dei performer, in uno spaziotempo in cui l’arte si possa manifestare dilatando gli orizzonti di chi partecipa al rito.